Perché Einstein è considerato la mente più geniale di tutti i tempi?

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La storia della scienza è costellata di menti geniali, ma perché tra tutti il nome di Albert Einstein è univocamente riconosciuto come quello del più grande genio di tutti i tempi? Oggi Einstein compirebbe 145 anni e, per celebrare il suo compleanno, vi raccontiamo quali sono state le sue principali scoperte e cosa hanno in più rispetto a quelle fatte dagli altri scienziati.

I contributi di Einstein

Per prima cosa facciamo un elenco dei principali contributi di Einstein. Andando in ordine cronologico egli pubblica nel 1905, nel giro di soli cinque mesi, tre dei suoi quattro lavori più importanti:

  1. La spiegazione dell’effetto fotoelettrico;

  2. L’interpretazione del moto Browniano;

  3. La teoria della Relatività Ristretta.

Per la vastità di contributi offerti in così breve tempo, il 1905 viene ricordato come l’annus mirabilis. Risale invece al 1915 la pubblicazione della Relatività Generale.

In cosa si differenzia il lavoro di Einstein da quello degli altri celebri uomini di scienza?

Volendo riassumere in una frase, l’innovazione portata nel mondo scientifico dalle sue idee rivoluzionarie. Infatti, la spiegazione fornita per il moto Browniano e l’effetto fotoelettrico non è affatto fine a sé stessa. Le idee introdotte hanno modificato radicalmente il modo di pensare alla struttura di ciò che ci circonda. Di conseguenza questi due semplici articoli hanno spalancato le porte all’avvento di nuove affascinanti aree della fisica e della matematica, quali la struttura della materia, la fisica quantistica e la teoria dei processi stocastici.

Con la teoria della relatività invece Einstein mostra al mondo la potenza del ragionamento, l’arte di fare fisica teorica. Servendosi del solo pensiero e con l’aiuto di carta e penna riesce a predire comportamenti del nostro universo fuori da ogni logica comune e per i quali è servito un secolo affinché ci si convincesse della loro definitiva validità.

Detto ciò, non è possibile far comprendere in poche righe l’importanza dei tributi di Einstein. Per avvicinarsi a tale comprensione è necessario addentrarsi più nello specifico nei suoi lavori.

Il moto Browniano

Nel 1987 il botanico Robert Brown osserva al microscopio il moto di alcuni granelli di polline in sospensione nell’acqua. Essi si muovono continuamente e in modo frenetico, cambiando repentinamente direzione, percorrendo una sorta di traiettoria a zig-zag.

Le particelle viventi

Come spiegare un tale movimento? Le ipotesi proposte sono molteplici, la prima delle quali è quella di pensare ai granelli di polline come delle particelle viventi in grado di muoversi. Tale supposizione viene però subito confutata quando si osserva lo stesso comportamento utilizzando frammenti di vetro o legno, oggetti chiaramente non vivi.

L’idea di Einstein

Una prima interpretazione esaustiva del fenomeno richiede ben diciotto anni di attesa, appunto fino alla pubblicazione dell’articolo di Einstein del 1905. L’ intuizione di Einstein consta nell’attribuire la causa del moto Browniano delle particelle di polline agli urti con le molecole d’acqua. In quel periodo, la struttura atomica della materia non è ancora ampiamente accettata, ed è proprio il lavoro di Einstein sul moto Browniano a dimostrare l’esistenza di piccoli costituenti nella materia.

La chiave del ragionamento di Einstein risiede nella comprensione che durante il tempo in cui si osserva un leggero movimento del polline, avvengono un vasto numero di urti tra le molecole d’acqua in movimento e la particella di polline. Questi urti, come effetto cumulativo, conferiscono alla particella un movimento netto, proprio quello che Brown osserva al microscopio.

Non essendo possibile predire il movimento esatto delle molecole d’acqua e dunque del polline, è furbo allora ricercare invece la probabilità che esso effettui un determinato spostamento. A fornire questo tipo di informazione, in teoria delle probabilità, ci pensano le cosiddette distribuzioni.

La Gaussiana

Gli urti avvengono in direzioni casuali e quindi lo spostamento netto viene ad essere la somma di tanti piccoli spostamenti random indipendenti. Così Einstein deduce che lo spostamento complessivo nel tempo segue una distribuzione Gaussiana. Quest’ultimo termine sta ad indicare la forma della distribuzione. In particolare si tratta di una curva a campana le cui caratteristiche essenziali sono la posizione del centro e la larghezza.

Il comportamento diffusivo

Nel caso in questione del moto Browniano, Einstein ottiene un risultato importante per la larghezza, il cui significato fisico consta essenzialmente in “quanto è capace di allontanarsi in media nel tempo t il polline dalla sua posizione iniziale”. Ricordiamo che un corpo libero in movimento effettua spostamenti direttamente proporzionali al tempo, il che significa che se fa 3 kilometri in 1 ora, ne farà 6 in 2 ore, nonché lo spostamento raddoppia se il tempo raddoppia.

Einstein ricava che il polline, come conseguenza dei continui urti si allontana dalla posizione iniziale effettuando spostamenti proporzionali alla radice quadrata del tempo, cioè per raddoppiare lo spazio percorso serve quadruplicare il tempo di osservazione. Questo risultato quantitativo viene detto comportamento diffusivo ed è in incredibile accordo con le misure sperimentali.

Le conseguenze del lavoro di Einstein

Il lavoro di Einstein non solo contribuisce a dimostrare la struttura atomica della materia, ma avvia anche la teoria dei processi stocastici e l’uso del moto Browniano generalizzato in fisica. In natura, infatti, sono comuni i casi in cui il sistema è influenzato da fonti di rumore: agenti che “disturbano” il sistema, come gli urti nel caso del moto del polline, la cui azione esatta non è nota poiché molto più rapida rispetto ai tempi di interesse. Nel moto Browniano generalizzato, l’effetto di tali agenti viene trattato in modo sintetico attraverso l’introduzione di variabili random.

Il moto Browniano… in discoteca!

Ti è mai capitato, in discoteca o in un luogo molto affollato, di ritrovarti dopo un po’ di tempo in una posizione diversa rispetto all’inizio? Bene, il movimento che hai involontariamente fatto è proprio un esempio di moto Browniano. A causa dei continui urti con la folla hai compiuto uno spostamento netto che ti ha portato ad allontanarti dalla posizione di partenza. Inoltre se presti attenzione ti accorgerai che mediamente il tuo spostamento raddoppia se il tempo di attesa viene quadruplicato. Stai effettivamente eseguendo il movimento diffusivo previsto da Einstein.

L’effetto fotoelettrico

L’effetto fotoelettrico è un fenomeno fisico in cui la luce (o radiazione elettromagnetica) interagisce con la materia, provocando l’emissione di elettroni da una superficie.

I problemi della teoria di Maxwell

Il tentativo di spiegazione di questo fenomeno mette in seria difficoltà la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell. Il grattacapo consiste nel fatto che l’energia degli elettroni emessi dipende dalla frequenza del fascio di luce incidente. Si osserva che lanciando radiazione con una frequenza inferiore a un certo valore, non si ha emissione di elettroni, mentre al di sopra di quel valore gli elettroni si manifestano, con un’energia crescente al crescere della frequenza della radiazione incidente. La teoria di Maxwell non fornisce alcuna connessione tra frequenza ed energia di un’onda elettromagnetica e quindi non è in grado di spiegare questo comportamento.

L’idea dei quanti di Einstein

È Einstein, nel suo annus mirabilis, a fornire per primo la spiegazione del fenomeno. Egli propone che la luce sia in grado di trasferire energia solo attraverso pacchetti discreti, chiamati quanti, il cui valore è proporzionale alla frequenza della luce stessa. Per estrarre un elettrone dal materiale è necessario fornire un’energia, detta funzione di lavoro, sufficiente a rompere il legame con l’atomo di appartenenza e quindi a liberare l’elettrone dal materiale.

Così, secondo l’ipotesi avanzata da Einstein, solo al di sopra di una certa frequenza della radiazione i quanti di energia sarebbero abbastanza significativi da permettere la fuga degli elettroni dal materiale. L’ipotesi di Einstein si rivela grandiosa poiché predice con precisione le quantità misurate negli esperimenti e sconvolge la visione precedente sulla natura della luce, considerata ondulatoria sulla base della teoria di Maxwell.

La luce: onda o particella?

La natura discreta degli scambi di energia da parte della radiazione elettromagnetica lo porta dunque a pensare che la vera natura della luce, così come della materia, sia corpuscolare. Se con il moto Browniano Einstein conferma l’ipotesi già preesistente che la materia sia composta da piccoli costituenti, gli atomi, con l’effetto fotoelettrico stravolge la visione della luce, fino a quel momento descritta come onda dalla teoria di Maxwell, introducendo i corpuscoli costituenti la radiazione elettromagnetica, detti fotoni.

Il premio Nobel

Ci vogliono infatti ben sedici anni, con l’assegnazione del premio Nobel del 1921 per far sì che i nuovi concetti introdotti da Einstein vengano assimilati e accettati dalla comunità scientifica. Anche i maggiori fisici dell’epoca, quali Lorentz, Planck e Millikan trovano inaccettabile l’ipotesi di Einstein, poiché appare in contrasto con l’ormai accettata natura ondulatoria della luce, in grado di spiegare i fenomeni di interferenza.

Le conseguenze delle scoperte di Einstein: La meccanica quantistica e la tecnologia

L’ambivalenza tra onda e corpuscolo della luce rappresenta il primo passo verso l’inizio della nuova grande teoria della fisica del XX secolo, la fisica quantistica.

L’importanza del lavoro di Einstein consta ancora una volta principalmente nelle implicazioni successive delle sue idee rivoluzionarie. Nonostante ciò, non è difficile trovare esempi di applicazione dell’effetto fotoelettrico in ambito tecnologico. Per citarne un paio le celle solari e i rivelatori di luce. Nel primo caso la radiazione solare, incidendo sulle celle, provoca l’emissione di elettroni per effetto fotoelettrico, nonché la generazione di corrente elettrica. Esempi concreti del secondo sono fotocamere digitali, sensori di luce ambientale, rilevatori di movimento e interruttori automatici. Questi dispositivi sfruttano tutti la capacità dell’effetto fotoelettrico di rilevare la luce e convertirla in un segnale elettrico.

L’effetto fotoelettrico… con delle monetine

Pensiamo a una macchinetta che estrae dal suo interno una pallina ogni volta che in essa si inserisca una moneta da un euro. Se abbiamo in tasca cento monete da un centesimo, nonostante il loro valore ammonti a un euro, la loro immissione nella macchinetta non provocherà la fuoriuscita della pallina, poiché essa accetta solo monete da un euro. Questo è, in analogia, il concetto essenziale dell’effetto fotoelettrico. A differenza di quanto predice la teoria di Maxwell, l’elettrone non è capace di assorbire gradualmente energia (centesimi) fino ad accumularne abbastanza (un euro) per fuggire. Anzi, come spiega Einstein, ha bisogno di assorbire, tramite l’assorbimento di un unico fotone (moneta da un euro), tutta l’energia necessaria alla fuga.

La teoria della relatività ristretta

La teoria di Maxwell per l’elettromagnetismo, oltre a non essere capace di spiegare fenomeni di interazione della luce con la materia come l’effetto fotoelettrico, possiede anche dei problemi aperti dal punto di vista concettuale. Da questi Einstein parte, elaborando ragionamenti teorici di disarmante semplicità, che nel seguito proveremo a delineare, fino a predire comportamenti sconvolgenti del nostro universo.

La Fisica è una: Il principio di relatività

Le leggi della meccanica di Newton si basano su un principio fondamentale, il principio di relatività. Esso è, in sostanza, l’assunzione di semplicità per la descrizione della natura e, per quanto possa apparire scontato, la sua imposizione di validità costituisce la base fondamentale di ogni teoria fisica moderna. In estrema sintesi, asserisce che la fisica non dipende dalla prospettiva. In sostanza, che io guardi alla natura seduto alla scrivania o mentre corro sul lungomare, la fisica che descrive ciò che è intorno a me deve essere sempre la stessa.

Bussola e cronometro: I sistemi di riferimento

Per comprendere più precisamente il principio di relatività è necessario introdurre i concetti di sistema di riferimento e di sistema di riferimento inerziale, anch’essi molto semplici. Fissare un sistema di riferimento significa munirsi di un modo per individuare la posizione degli oggetti nello spazio e nel tempo. In sostanza se sono in mare e voglio raggiungere la costa, ad esempio dovrò muovermi per un kilometro verso nord-ovest e il cronometro mi segnerà il tempo che impiego ad effettuare questo spostamento.

I sistemi di riferimento semplici: I sistemi inerziali

Per sistema di riferimento inerziale si intende una particolare scelta di sistema di riferimento in cui i corpi cambiano il loro stato di moto solo se soggetti ad un’azione esterna. Si tratta in sostanza dei sistemi in cui la fisica è semplice. In tali sistemi un corpo fermo, se non sollecitato, resta fermo ed uno in movimento resta alla medesima velocità.

In contrasto, un sistema di riferimento non inerziale è ad esempio dato dalla nostra prospettiva quando, seduti in automobile, quest’ultima compie una curva. Siamo inizialmente immobili sul sedile, ma durante la curva tendiamo a muoverci verso l’esterno della macchina, nonostante non ci sia nessuno a spingerci.

Avendo adesso chiari i concetti di base, possiamo enunciare con maggior precisione il principio di relatività: le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

La relatività Galileiana

Detto ciò il punto di partenza di una teoria della relatività (una teoria che descriva i fenomeni indipendentemente dalla scelta del sistema inerziale) è quello di comprendere come si passa dalla descrizione in un sistema inerziale ad un altro. Per la fisica classica, ad occuparsi di ciò è stato Galileo Galilei.

Il tempo assoluto di Galileo

La relatività Galileiana suppone che, come ovvio che sia, la posizione cambi da un sistema all’altro, mentre il tempo no. In pratica, se sono sul divano e accendo il televisore, io sul divano descrivo l’evento come: alle ore 20.00 è stato acceso il televisore, a due metri da me. Mia sorella è invece in cucina e descrive l’evento come: alle 20.00 è stato acceso il televisore, a sei metri da me. Insomma l’ipotesi di Galileo non è altro che il senso comune su come si trasformano coordinate spaziali e temporali al cambiare della prospettiva e l’ipotesi sul tempo è detta ipotesi di tempo assoluto.

La velocità secondo Galileo

In questo modo Galileo ricava che anche le velocità cambiano quando si passa da un riferimento ad un altro. Anche questo concetto è banale nella vita di tutti i giorni: se sono fermo al bordo della strada osservo le auto sfrecciare ad alta velocità, se invece mi trovo alla guida, al momento di un sorpasso vedo l’altra automobile praticamente ferma rispetto al mio sistema.

Il problema della velocità della luce

Eccoci arrivati al momento di scontro tra teoria Galileiana e elettromagnetismo di Maxwell. Maxwell elabora delle equazioni che descrivono la propagazione delle onde elettromagnetiche, la luce. Indipendentemente dalla scelta del sistema inerziale la velocità della luce nel vuoto viene prevista del valore di 300000 km/s. Ma secondo Galileo, non dovrebbe essa dipendere dalla scelta del riferimento? Chi si sta sbagliando? Da misure sperimentali la velocità della luce risulta effettivamente essere la stessa in ogni sistema di riferimento, e il principio di relatività è un principio che nel suo enunciato vuole riferirsi ad ogni fenomeno fisico, senza escludere l’elettromagnetismo. L’intoppo sta dunque nelle trasformazioni di Galileo che vanno modificate, ma come?

La velocità della luce… secondo Einstein

Einstein ragiona sul fatto che una componente essenziale dei fenomeni fisici è la velocità di propagazione delle interazioni. Cioè, quando due corpi interagiscono tra loro, questi non lo fanno istantaneamente, come vuole il principio di azione a distanza della fisica Newtoniana. È chiaro che un oggetto avverte la presenza dell’altro solo dopo un certo intervallo di tempo, durante il quale immaginiamo un segnale che si propaga da un corpo all’altro. Dividendo la distanza tra i due corpi per l’intervallo di tempo necessario affinché questi iniziano a risentire l’uno dell’altro otteniamo la velocità del segnale. Questa è una grandezza fondamentale dell’interazione fisica e, per il principio di relatività, deve essere la medesima in ogni sistema di riferimento inerziale. Così Einstein, piuttosto che pensare al tempo assoluto di Galileo, suppone che la velocità della luce nel vuoto sia assoluta, cioè che sia la medesima in ogni sistema di riferimento inerziale.

Le trasformazioni di Lorentz

Rifiutando l’idea di tempo assoluto si modifica la deduzione delle trasformazioni da un sistema di riferimento a un altro e si ricavano le cosiddette trasformazioni di Lorentz, secondo cui oltre alle coordinate spaziali, anche quelle temporali subiscono un cambiamento al passaggio da un sistema ad un altro. Sbalorditivo come le equazioni dell’elettromagnetismo risultino adesso invarianti sotto l’azione di tali trasformazioni, cioè nel contesto della relatività Einsteiniana le leggi dell’elettromagnetismo hanno la stessa forma in ogni sistema di riferimento inerziale.

Il problema è risolto, la nuova teoria della relatività è compatibile con la teoria di Maxwell dell’elettromagnetismo, ma come sempre in ogni sua scoperta, il lavoro di Einstein non si limita a questo. Questo nuovo approccio conduce alla previsione di nuovi e strani risultati, manifesti sono il fenomeno della dilatazione dei tempi e l’equivalenza massa-energia.

La dilatazione dei tempi

Se in relatività Einsteiniana il tempo non è assoluto allora significa che la percezione del tempo dipende dal sistema di riferimento? Sì, è esattamente così, e la teoria della relatività ristretta sa predire esattamente in che modo avviene.

Consideriamo un sistema inerziale S, ad esempio la prospettiva di un uomo sdraiato in spiaggia, con al polso un un orologio O fermo, e un sistema S’, una navicella in cielo, che si muove a velocità v rispetto al riferimento S, e all’interno della quale sia posto un orologio O’ a riposo. Sia quindi t il tempo trascorso nel sistema S e t’ rispettivamente quello nel sistema S’. Per questa circostanza Einstein ricava la formula di dilatazione dei tempi:

t = γ t’

dove γ è detto fattore di Lorentz e corrisponde a una quantità che dipende dalla velocità v di S’. In particolare essa vale circa 1 se v è molto piccola rispetto alla velocità della luce ed è maggiore di uno e tendente a infinito se v è prossima alla velocità della luce.

Il tempo come siamo abituati a pensarlo

Per prima cosa capiamo perché si è dovuto aspettare così tanto per comprendere che le trasformazioni di Galileo fossero sbagliate: Le velocità cui siamo abituati a muoverci, nonché quelle che si usano solitamente nel contesto della meccanica Newtoniana rientrano nella prima casistica, per cui otteniamo la condizione di tempo assoluto di Galileo:

t = t’

cioè che il tempo scorre allo stesso modo in S e S’, come siamo abituati a pensare, lecitamente, nel senso comune.

Il tempo… secondo Einstein

Viceversa, per velocità comparabili con quella della luce risulta:

t > t’

cioè in S’, sistema in movimento, il tempo scorre più lentamente rispetto ad S, il sistema fermo. Infatti se per esempio supponiamo che

t = 30 t’

allora se in S sono passati 30 anni, allora in S’ ne è passato solamente uno.

Uno dei modi usati per verificare sperimentalmente la dilatazione dei tempi predetta da Einstein è attraverso l’osservazione della dipendenza del tempo di decadimento delle particelle dalla loro velocità, che simuliamo attraverso un semplice paragone con una superfarfalla.

La relatività… con una farfalla

Le farfalle vivono in media un solo giorno, ma se esistessero farfalle capaci muoversi a velocità prossime a quella della luce, per quanto tempo le vedremmo vivere? Immaginando una tale superfarfalla, ad essa sarebbe applicabile l’effetto di dilatazione dei tempi. Prendendo ad esempio, velocità della farfalla tale per cui γ = 30, osserveremmo la farfalla vivere per un mese intero! Allo stesso modo molte particelle hanno una loro vita media e si osserva in laboratorio che per noi cambia questa durata al variare della velocità della particella, e quindi di γ.

L’equivalenza massa – energia

In meccanica Newtoniana una particella libera da azioni esterne può avere solamente una forma di energia, quella cinetica legata al movimento. Dalla semplice considerazione di un sistema di questo tipo, in relatività ristretta emerge naturalmente un nuovo termine, presente anche quando il corpo non è in movimento e che viene detto energia a riposo. Si tratta di:

E = m c2

dove E è l’energia di una particella libera, a riposo, m la sua massa e c la velocità della luce. Essendo quest’ultima una quantità costante, il significato della formula risiede nell’interpretazione della massa come una forma di energia.

L’avvento dell’energia nucleare

Immediatamente tale formula viene usata in quegli anni per comprendere i fenomeni di fisica nucleare. Per prima cosa si interpretano i processi di decadimento radioattivi in cui un nucleo pesante si sgretola trasformandosi in un nucleo più leggero e liberando enormi quantità di energia. Con la scoperta della fissione nucleare da parte di Fermi e delle reazioni a catena si costruiscono le prime centrali nucleari, capaci di convertire la massa dell’uranio in energia utile per le attività umane.

Einstein e la guerra

Lo stesso Einstein è ben conscio anche delle applicazioni negative che p comportare la sua scoperta. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, Einstein invia una lettera al presidente degli stati uniti Roosvelt nella quale lo avvisa del possibile sviluppo da parte della Germania di “bombe di un nuovo tipo estremamente potenti”. Ciò porta infine al progetto Manhattan. Einstein sostiene gli alleati e, a causa delle sue origini ebraiche non fa più ritorno in Germania dall’approdo di Hitler al potere. Nonostante l’appoggio agli USA critica l’idea di usare la fissione nucleare come arma. Così firma, con il filosofo britannico Bertrand Russel il manifesto Russell – Einstein, nel quale si evidenzia il pericolo delle armi nucleari. Dopo la guerra Einstein fa pressioni per il disarmo nucleare e per l’istituzione di un governo mondiale. Attribuiamo a lui la frase: “Non so con quali armi verrà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre”

La relatività generale

Dopo la pubblicazione della relatività speciale, Einstein immediatamente riconosce due problematiche su cui lavorare:

  1. L’incompatibilità della relatività ristretta con la teoria della gravitazione universale di Newton. Infatti, la nuova teoria della relatività, così come è coerente con l’elettromagnetismo, deve risultarlo con tutte le altre teorie inerenti alle altre tipologie di fenomeni fisici, in particolare con la teoria della gravitazione universale, sviluppata da Isacc Newton alla fine del ‘600 e in grado di spiegare il moto dei pianeti nel sistema solare. Tuttavia essa risulta in netto contrasto con la relatività Einsteiniana: Per prima cosa, in essa si suppone l’azione a distanza dell’interazione gravitazionale (se si muovesse il sole, la terra risentirebbe immediatamente questo effetto senza alcun ritardo) mentre Einstein impone che la velocità della luce sia la velocità limite con cui si propagano i segnali. Non solo, la legge di gravitazione universale non è invariante sotto trasformazioni di Lorentz: cioè accettando teoria della gravitazione di Newton e relatività Einsteiniana, le leggi della teoria della gravitazione dipenderebbero dalla scelta del sistema di riferimento inerziale, invalidando il principio di relatività;

  2. Per completezza, Einstein ha necessità di “allargare” i concetti della relatività ristretta ai sistemi di riferimento non inerziali. Ricordiamo che con essi si intende quei sistemi di riferimento accelerati, come un auto in curva, nei quali corpi inizialmente fermi iniziano a muoversi anche se su di essi non agisca alcuna azione diretta.

Il principio di equivalenza

La prima idea illuminante è quella di unire i due problemi in unico solo, enunciando il cosiddetto principio di equivalenza. Esso stabilisce che non è possibile distinguere tra i fenomeni osservati in un campo gravitazionale uniforme e quelli osservati in un sistema mobile con accelerazione costante. Per capire meglio di che si tratta facciamo un esperimento lampo, che lo stesso Einstein ha pensato per spiegare con semplicità questo principio.

Il principio di equivalenza… in un ascensore

Entrate in un ascensore e salite al piano superiore. Alla partenza avvertirete un “maggiore peso verso il basso” mentre, nel momento in cui l’ascensore si ferma, una spinta verso l’alto, sentendovi più leggeri. Avete appena sperimentato su voi stessi il principio di equivalenza. Nel momento in cui l’ascensore parte o si ferma non è mica cambiato il vostro peso, risultato dell’attrazione tra la vostra massa e quella della terra. Avete “confuso” (perché l’azione sul vostro corpo è equivalente) con il peso le conseguenze del fatto che vi trovate in un sistema non inerziale, avendo l’ascensore cambiato velocità, nonché accelerato, negli istanti di partenza e di frenata.

Una teoria per la gravità

Il principio di equivalenza è dimostrato dagli esperimenti con ottima approssimazione, tramite la misura dell’uguaglianza tra il valore della massa inerziale e quella gravitazionale.

Assunto questo principio allora gli effetti della gravità sono equivalenti agli effetti avvertiti nei sistemi non inerziali, per cui, elaborando una teoria che generalizzi la relatività ristretta, ovvero che studi gli effetti dei sistemi inerziali, staremo in automatico contemplando quelli gravitazionali, cioè infine la teoria della relatività generale rappresenta una teoria della gravitazione.

Lo spazio-tempo di Einstein

Così Einstein avvia la sua teoria, scegliendo come principale protagonista lo spaziotempo da lui stesso introdotto in relatività ristretta. A differenza di quanto si faceva in fisica Newtoniana, Einstein non considera spazio e tempo come entità separate ma le vede intimamente connesse in quanto parte di un’unica, lo spaziotempo di Minkowski.

L’ equazione di Einstein

Ancora una volta, con la sola potenza del ragionamento Einstein spiega in modo dettagliato la causa dell’interazione gravitazionale, elaborando un’equazione, oggi nota come equazione di campo di Einstein, che racchiude il concetto chiave della sua teoria: La presenza di una massa modifica la geometria dello spaziotempo, produce una curvatura il cui effetto si ripercuote sugli oggetti circostanti. Per avere una visualizzazione più pratica dell’effetto di curvatura dello spaziotempo, facciamo il seguente esempio usando un telo.

La relatività generale… con un telo

Stendete un lenzuolo e poggiate al centro un oggetto pesante. Intorno ad esso noterete che si è creata una deformazione della superficie del lenzuolo, una fossa. A questo punto lanciate una biglia sul lenzuolo. Con i vostri occhi vedrete che essa inizierà a ruotare intorno all’oggetto pesante fino a raggiungerlo. Il moto osservato è assimilabile, su larga scala, a quello dei pianeti intorno al sole. Ecco a voi il concetto fondamentale della relatività generale: La materia dice allo spaziotempo come curvarsi, lo spaziotempo dice alla materia come muoversi.

Le osservazioni di Eddington per confermare la teoria di Einstein

Al giorno d’oggi vengono ancora proposti esperimenti per la conferma o meno della teoria della relatività generale, che fino ad ora ha resistito agli attacchi. La prima conferma si ha nel 1919, quando Arthur Eddington, durante un’eclissi di sole, osserva alcune stelle vicine al bordo solare che secondo la teoria di Newton dovrebbero risultare invisibili. La luce emessa da tali stessa è stata deviata proprio della quantità prevista dalla teoria, seguendo la curvatura dello spaziotempo causata dalla presenza del sole. Numerosi scienziati fremevano per l’esito dell’esperimento, tranne Einstein che invece era certo della validità della sua teoria, come testimoniano le stesse parole di Einstein, parlando di Max Planck: “Era una delle personi migliori che io abbia conosciuto […] ma non capiva proprio niente di fisica perché durante l’eclissi del 1919 è rimasto in piedi tutta la notte per vedere se sarebbe stata confermata la curvatura della luce dovuta al campo gravitazionale. Se avesse capito davvero (la teoria della relatività), avrebbe fatto come me e sarebbe andato a letto”.

Le conferme successive… fino alle onde gravitazionali

Tuttavia ci si rese conto che l’accuratezza dell’esperimento non era sufficiente per evincere la correttezza delle previsioni di Einstein e la prima vera conferma si ebbe più avanti con la spiegazione del moto di precessione del perielio di Mercurio, la cui entità era inspiegabile nel contesto della teoria di Newton. Ulteriori conferme sono arrivate di recente, con l’osservazione dell’effetto lente gravitazionale, la scoperta indiretta dei buchi neri e infine la rilevazione di onde gravitazionali nel 2016.

La teoria della relatività generale è stata considerata, da Einstein stesso, il suo lavoro più complicato, specialmente per la nuova matematica necessaria allo sviluppo della teoria.

La costante cosmologica

Nel 1917 Einstein inserisce nelle sue equazioni la costante cosmologica al fine di prevedere un universo statico all’interno della sua teoria, come si pensava all’epoca. Tuttavia più avanti si scoprì che lo stato dell’universo in realtà fosse in espansione, così Einstein parlò dell’introduzione della costante cosmologica come il più grande abbaglio della sua vita.

Einstein a scuola

La supposizione che il suo profitto in matematica fosse scarso è sbagliata, basata anche sul fatto che nel sistema scolastico svizzero le votazioni adottano una scala da 1 a 6. Nell’agosto del 1886 Einstein riferì alla madre l’ottimo profitto scolastico: “Albert ha ricevuto la pagella, è nuovamente il primo della classe.”

I lavori incompiuti

Nella parte successiva della sua carriera Einstein si è impegnato a formulare una teoria di campo unico, che fosse capace di descrivere tutte le forze fondamentali della natura, insieme a quella gravitazionale. Inoltre era consapevole dei problemi di conciliabilità della sua teoria con quella della meccanica quantistica, così cercò di elaborare una teoria quantistica dei campi in grado di incorporare la gravità. Tuttavia Einstein non riuscì in nessuno di questi suoi intenti. D’altronde si tratta dei più importanti problemi aperti della fisica moderna non ancora risolti.

Einstein e la fede

Riguardo la sua posizione religiosa, queste le sue parole:

Io non sono ateo e non penso di potermi chiamare panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell’essere umano più intelligente nei confronti di Dio. Noi vediamo un universo meravigliosamente ordinato che rispetta leggi precise, che possiamo però comprendere solo in modo oscuro. I nostri limitati pensieri non possono afferrare la forza misteriosa che muove le costellazioni.”

Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo (nella misura in cui ci sia lecito parlarne) come a un miracolo o a un eterno mistero. A priori, tutto sommato, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Ci si potrebbe (forse addirittura si dovrebbe) attendere che il mondo si manifesti come soggetto alle leggi solo a condizione che noi operiamo un intervento ordinatore. Questo tipo di ordinamento sarebbe simile all’ordine alfabetico delle parole di una lingua. Al contrario, il tipo d’ordine che, per esempio, è stato creato dalla teoria della gravitazione di Newton è di carattere completamente diverso: anche se gli assiomi della teoria sono posti dall’uomo, il successo di una tale impresa presuppone un alto grado d’ordine nel mondo oggettivo, che non era affatto giustificato prevedere a priori. È qui che compare il sentimento del “miracoloso”, che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza.”

Einstein e la fisica quantistica

Einstein rifiutava la teoria quantistica perché questa sostiene che solo dopo aver misurato il valore della proprietà di una particella, la particella stessa acquista realtà fisica, invece prima della misura va considerata come una sovrapposizione di stati. Sono note le frasi che ripeteva spesso: “Mi piace pensare che la luna stia lì anche se non la sto guardando” e “Dio non gioca a dadi” e ancora: “Se, senza disturbare in alcun modo un sistema, possiamo predire con certezza il valore di una quantità fisica, allora esiste un elemento di realtà fisica corrispondente a questa quantità fisica”.

Secondo Einstein, infatti, se una proprietà fisica di un oggetto può essere vista anche senza che l’oggetto sia osservato, allora la proprietà stessa non può essere stata creata dall’osservazione, ma deve essere una realtà fisica anche prima dell’osservazione.

Il paradosso EPR

Elaborò con Podolsky e Rosen il paradosso EPR, dalle iniziali dei loro nomi. Si tratta di un esperimento mentale con cui si dimostra che dall’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica deriva teoricamente il fenomeno dell’entanglement, considerato paradossale in quanto, secondo Einstein, comporterebbe che l’informazione, in questa circostanza, viaggia più velocemente della luce e ciò risulta incompatibile con la relatività ristretta e più in generale con il principio di località.

Così i tre scienziati giudicarono incompleta la teoria quantistica e proposero come soluzione al paradosso l’introduzione nella meccanica quantistica di quelle che chiamarono “variabili nascoste”. Tuttavia il paradosso è stato successivamente risolto da Bell e infine i tentativi di Einstein di mostrare l’incompletezza della meccanica quantistica fallirono. Ricordiamo con il seguente estratto le sue convinzioni a tal riguardo:

La meccanica quantistica è degna di ogni rispetto, ma una voce interiore mi dice che non è ancora la soluzione giusta”

Infinite volte grazie Einstein… e buon compleanno!

a cura di Giuseppe Mansi

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